02 Maggio 2020
Vocabolo ormai conosciuto a tutti per indicare la chiusura totale, la messa in quarantena. Ognuno di noi di noi cerca di viverla al meglio.
Per quanto mi riguarda, ho preferito affrontarla con animo sereno, anche grazie alla vicinanza di mia moglie, pilastro portante della famiglia, che non mi fa mancare il suo affetto ed il suo amore.
Mi sono preparato ogni giorno prendendomi cura di me stesso, senza lasciarmi andare, pronto a fare le mie attività al meglio delle mie capacità con impegno e determinazione. La prima missione: la caffettiera, con una bella tazza di caffè e una buona colazione…si ragiona meglio. Subito dopo l’ascolto della Santa Messa celebrata da Papa Francesco. Poi le varie attività programmate per il giorno. Ho cercato di seguire i consigli elargiti generosamente, dai dottori Francesco e Salvo Cannavà. “Mi tengo impegnato.” Ho semplicemente organizzato le mie giornate in modo che non siano monotone e noiose. Mi dedico alla lettura, al bricolage, al giardinaggio. Ho finalmente fatto quelle cose che avevo rimandato a “quando avrò tempo”, un po’ di attività fisica, rispolverato vecchi ricordi. Dedico del tempo anche al pc. A differenza di tanti non so cucinare, ma mi sto impegnando per imparare, con la supervisione di mia moglie e di mia suocera, entrambe ottime insegnanti. Cerco di relazionarmi con amici, parenti e conoscenti, anche con gli ex colleghi, con i quali, tramite la chat di gruppo condividiamo opinioni, ricordi e, goliardicamente, gli sfottò. Ci vediamo giornalmente con figli e nipoti, la più piccola delle femminucce ogni sera prima di andare a letto, dopo aver giocato a lungo con noi, chiede alla nonna di raccontarle una favola.
Anch’io, come tutti, non vedo l’ora che tutto finisca e che la vita possa riprendere in modo normale e poter tornare ed assaporare quella sensazione di libertà che per il nostro bene ci è preclusa.
Ma questo è anche tempo di riflessioni e desidero condividere con gli amici unitrini delle mie considerazioni circa alcuni dei vocaboli molto utilizzati in questo periodo di Coronavirus.
Paura
Letteralmente la paura è uno stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte ad un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si crede dannoso, più o meno a secondo le persone e le circostanze; certe volte assume carattere di un turbamento forte ed improvviso, che si manifesta anche con reazioni fisiche, quando il pericolo si presenti inaspettato, coglie di sorpresa o comunque appare imminente.
L’istinto di sopravvivenza ci ha fatto ragionare con meno raziocinio. Abbiamo visto il pericolo dovunque. Abbiamo assistito a manifestazioni di paura. Ad insensate aggressioni di presunti “untori”, come quelle nei confronti di cittadini cinesi che in quanto tali sicuramente portatori del virus; a scritte contro persone vicine di casa colpevoli di lavorare in ospedale e quindi di essere potenzialmente causa di contagio. L’evitarci l’uno con l’altro. Siamo andati al supermercato evitando ogni persona perché potenzialmente infetta, che a sua volta pensava la stessa cosa di noi.
Che dire poi delle polemiche scatenate dalla fuga dal nord verso il sud?
Fiumi di parole, di odio, di risentimento nei confronti di altri possibili “untori” espresse sui social, qualcuno chiedeva di conoscere nomi e cognomi, pochi si manifestavano solidali.
In questa realtà ognuno è libero di pensare a modo suo, a seconda del grado di comprensibile “paura” personale. Chi si può immedesimare nello stato d’animo di chi è fuggito da un luogo dove ha provato a sua volta una “paura” ancora più grande ed immediata di chi li ha additati ad untori? Quanti genitori, i cui figli si trovano dall’inizio della pandemia fuori casa e vi sono rimasti per scelta personale o per lavoro, che avrebbero voluto il loro ritorno? Proprio la notte in cui tantissimi fuggivano mio figlio riusciva a ricongiungere il resto della famiglia trasferendola dall’estero a Milano, dove lavora, affrontando un lungo viaggio in macchina con due bambini piccolissimi e trovando lungo il percorso tutti gli autogrill deserti a causa del virus. Qual era il loro stato d’animo? Qual era lo stato d’animo mio e di mia moglie? Lascio immaginare.
Vivremo ancora la paura di “ritorno” per quanti erano rimasti bloccati in altre città dai vari decreti e che in questi giorni, con le nuove disposizioni avranno la possibilità di tornare nelle proprie case? Forse non sarebbe meglio avere sentimenti di comprensione e solidarietà?
Triage
Proviene dal francese e significa scegliere, classificare, smistamento.
La maggior parte di noi ha associato la parola triage alle tende che abbiamo visto sorgere davanti agli ospedali. Una novità per tanti che non conoscevano neanche il termine e credevano che i colori bianco, verde, giallo e rosso attribuiti in ospedale fossero solamente il modo di dare priorità nelle visite e nei ricoveri. Quando nei pronto soccorso sono arrivate tantissime persone contagiate da coronavirus ed i medici si sono trovati nella terribile situazione di avere un unico respiratore e previlegiare chi è più giovane o comunque chi non ha patologie importanti e quindi non seguire il criterio di accesso e cioè chi arriva prima viene curato prima. Ecco cos’è anche il triage! Fare una scelta di questo tipo, seppure in una situazione di “guerra”, per chiunque la debba fare è un compito di una drammaticità unica che, ritengo, abbia bisogno di una assistenza psicologica seppur postuma, considerata la repentinità della decisione.
Anziani
Sono coloro che hanno pagato il prezzo più alto della pandemia. Sembrano il bersaglio preferito dal Coronavirus, in realtà sono le persone più fragili. Una generazione di nonni falcidiata, andata via da sola, anonimamente, senza alcun conforto. Mi fa specie sentire commenti superficiali durante la lettura dei bollettini giornalieri delle statistiche epidemiologiche, dove spesso, comunicando le cifre dei decessi, si sottolinea che la maggioranza delle persone decedute era anziana. Il numero “morti del giorno” sembra diventata una notizia qualsiasi, come ascoltare le previsioni del tempo. Ci si dimentica che ogni persona deceduta era un uomo od una donna con nome e cognome, era padre o madre, era nonno o nonna, zio o zia, fratello o sorella, con degli affetti, con un vissuto, un patrimonio di esperienza di vita e con una aspettativa di vita, come tutti. Tanti giovani conoscevano solo le case di riposo, non sapevano cosa fossero le R.S.A, i centri Alzhaimer, le Case albergo, i Centri di riabilitazione ecc. le hanno scoperte con la pandemia. Eppure gli anziani sono stati e sono un patrimonio per la società, in termini di praticità sono baby sitter affettuosi, sempre disponibili, sono genitori e nonni generosi, donatori disinteressati di affetto e di amore, direi un pilastro “sommerso” del terzo settore.
Gratitudine
È un sentimento di riconoscenza. Come non essere grati a tutti coloro che si donano al prossimo sia per professione che per spirito di volontariato. Sono grato ai medici, agli infermieri a tutto il personale sanitario e parasanitario che rischia ogni giorno la vita per salvare quella altrui. Alle forze dell’ordine, ai volontari di tutte le associazioni che tanto fanno per alleviare i disagi ed i bisogni delle famiglie in difficoltà economica e non solo, le Misericordie, la Croce Rossa, le varie Caritas, e tutte altre organizzazioni, ai volontari non organizzati ed ad ogni singola persona che materialmente, anche solo con un sorriso ha alleviato ed allevia le sofferenze di qualcuno.
Penso che quando tutto sarà finito e vedremo circolare le ambulanze e gli automezzi dei volontari dovremmo rivolgere verso di loro non più uno sguardo distratto ma un pensiero di gratitudine.
Solidarietà ed umanità
Due parole complementari, non c’è l’una senza l’altra. In un periodo così buio tantissimi hanno riscoperto questi due valori. La paura, la consapevolezza di essere fragili, le immagini televisive di ambulanze, di ospedali, di persone inermi sui lettini dei pronto soccorso hanno toccato la sensibilità di tutti noi. Siamo un paese generoso. Tutti abbiamo partecipato alla “spesa sospesa” ed abbiamo davanti agli occhi le immagini dei cestini con la scritta “chi può metta, chi non può prenda”. Ci sarà ancora più bisogno di aiuto e solidarietà perché la crisi economica comincia a farsi largo a spallate.
Non dimentichiamo però la solidarietà anche verso chi non ha dei bisogni economici: le persone sole, gli anziani, gli ammalati, tutte persone che sono da anni in “quarantena forzata” e che non desiderano altro che una parola di conforto, una visita, una carezza.
Si dice che quando tutto questo sarà passato il mondo non sarà più come prima. Tutti noi dovremo adattarci ad un nuovo modo di vivere, di lavorare e di creare relazioni. Per migliorarlo ognuno di noi dovrà metterci del suo. Dovremo imparare ad avere un maggiore rispetto per il creato, per la vita, per l’uomo.
Chiudo con una citazione di Papa Francesco: meno armi, contro il virus non servono, più sanità, più lavoro, più attenzione alla vita.
Ma l’uomo avrà imparato la lezione?
Salvatore Ponzio
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