Raffaello Sanzio, "Il trionfo di Galatea", 1511.
affresco (295x225 cm) conservato nella Villa Farnesina di Roma.
L'affresco mostra l'apoteosi della ninfa che cavalca un cocchio a forma di capasanta trainato da due delfini, circondata da un festoso corteo di divinità marine (tritoni e nereidi) e vigilata, in cielo, da tre amorini che stanno per scagliare dardi amorosi contro di lei.
Un quarto putto, a cui è rivolto il casto sguardo di Galatea, tiene un fascio di frecce nascosto dietro una nuvola, a simboleggiare la castità dell'amore platonico.
Il movimento del manto gonfiato dal vento, accompagnato da quello dei capelli, è ripreso dal gesto della vicina nereide, che solleva un braccio mentre è rapita da un tritone.
Un quarto putto, a cui è rivolto il casto sguardo di Galatea, tiene un fascio di frecce nascosto dietro una nuvola, a simboleggiare la castità dell'amore platonico.
Il movimento del manto gonfiato dal vento, accompagnato da quello dei capelli, è ripreso dal gesto della vicina nereide, che solleva un braccio mentre è rapita da un tritone.
Galatea in greco significa: "lei che ha la pelle bianco-latte".
Galatea è una figura della mitologia greca, una delle cinquanta ninfe del mare, le Nereidi, figlie di Nereo e di Doride, la cui abituale residenza è in fondo all’oceano, con il padre e che hanno il compito di assistere i marinai.
Il mito narra che Galatea fosse innamorata di Aci, un giovane bellissimo, e che il ciclope Polifemo, invidioso del giovane e a sua volta innamorato della ninfa, un giorno avesse cercato di attirarla con il suono del suo flauto (simbolo di lussuria).
Non essendo riuscito nel suo intento, sorpresa la coppia di amanti, scagliò infuriato un enorme masso che raggiunse, uccidendolo, Aci.
Come raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio, Galatea, per tenere in vita il suo amore, trasformò il sangue di Aci in una sorgente e lui stesso divenne un dio fluviale.