03 Maggio 2020
Facendo seguito al caloroso appello del nostro Presidente, anche i nostri docenti desiderano regalarci le loro “testimonianze di vita circa l’essere reclusi in casa a motivo dell’attuale pandemia”. Iniziamo la serie con la testimonianza del dr. Marco Neri.
Nessuno se lo aspettava. Le disgrazie si guardano con malcelata morbosità in TV solo quando colpiscono gli altri. Quando diventano le tue, è tutta un’altra cosa e la percezione cambia radicalmente. Mi ricordo bene quando, a gennaio di quest’anno iniziato proprio male, abbiamo cominciato a sentir parlare di questo strano virus che stava invadendo una regione poco nota, fino ad allora, della Cina. Era lontanissimo questo virus, eppure già si sentiva parlare di centinaia di contagiati, decine di morti e di un ospedale da realizzare in soli dieci giorni, pronto ad accogliere migliaia di malati. I soliti cinesi, ho pensato subito. Si mangiano il mondo con la loro efficienza, i loro numeri, la rapidità di azione ed il rigore che solo un governo di vero regime riesce ad imporre. Alla fine della conta, dopo due mesi di durissimo isolamento sociale, con milioni di persone chiuse in città militarizzate, poco meno di centomila contagiati e poche migliaia di morti, secondo i dati ufficiali che in Cina non sai mai quanto siano veri, ma erano numeri che incutevano in noi “occidentali” un’angoscia profonda solo a pensarli.
E in Italia? No, non arriverà mai, siamo protetti, controlliamo tutti quelli che arrivano dalla Cina, li guardiamo negli occhi a mandorla e sappiamo tenerli a bada. Mica siamo stupidi. E invece, molto probabilmente, il COVID-19 era già tra noi, da quanto tempo ce lo diranno gli studi epidemiologici, forse, un giorno. Era già così tanto tra noi, questo virus infame, che ha invaso le nostre vite brutalmente, improvvisamente, senza lasciarci il tempo di realizzare chiaramente cosa stava accadendo. E così chi si trovava all’estero, o semplicemente lontano da casa, si è trovato bloccato senza potere rientrare. Inizialmente si pensava ad un paio di settimane di forzato isolamento, ma sono passati mesi e siamo ancora qui. Quello che all’inizio sembrava una quasi piacevole novità, goliardicamente sbandierata dai balconi insieme all’inno di Mameli, si è rapidamente trasformata in preoccupazione, a volte terrore ed angoscia. Dal contagio di una Cina lontanissima, radicale, autoritaria, culturalmente arretrata, siamo precipitati in un batter di ciglia nel paese più contagiato al mondo, con centinaia di migliaia di malati (quelli che si è riusciti a contare) e decine di migliaia di deceduti. Proprio noi, nel cuore della democratica e civilissima Europa.
Non siamo rimasti isolati in questa tragedia. Una ad una, anche molte altre nostre sorelle europee sono cadute ai piedi del COVID-19, soprattutto quegli Stati guidati da premier arroganti e dalle idee poco chiare. E nonostante questo, quasi nessuno di quegli Stati così duramente colpiti ha saputo finora dare una risposta “europeista” in termini di coesione sociale, di solidarietà, di compassione umana. Individui dalla memoria corta, che spolpano con insensibilità i deboli di turno. Ma la ruota gira, come il virus, chissà per quanto durerà questa ottusa cupidigia. E sull’altra sponda dell’Oceano Atlantico non se la passano meglio, anzi! Anche in USA, nonostante avessero avuto tutto il tempo di capire osservando cosa stava accadendo in Europa, hanno sottovalutato il problema e sono stati invasi, letteralmente, dal COVID-19 facendosi trovare assolutamente impreparati ad affrontare una pandemia ormai diventata esplosiva. Per questi fatti possiamo fare assai poco, se non rimanere attoniti ed arrabbiati.
Ecco, arrabbiati. E’ un sentimento che adesso comincia a trovare spazio tra la nostra gente, che realizza la crudezza di un’emergenza non più solo sanitaria, ma anche economica. Capisco poco, anzi aborrisco, chi si agita scompostamente cercando di cavalcare una rivolta popolare che non c’è, e non ci può essere. Il distanziamento sociale, unica arma vera che abbiamo potuto mettere in gioco in questi mesi di quarantena continua, sta funzionando, è un dato di fatto. Ne usciremo perché siamo Italiani, brava gente, fortunata e fantasiosa e, quando vuole, anche generosa e preparata. Non meritiamo questi urlatori di professione, che esistono solo grazie alla destrezza con cui manipolano i social e la gente meno attrezzata a svelare la loro nullità etica e culturale.
Non sono certo di come finirà la storia. In questi giorni in cui il virus sembra mollare la presa, parlano già di una seconda ondata di contagi che inevitabilmente ci coglierà in autunno. Forse. Io preferisco pensare che è il tempo di rimboccarsi le maniche e guardare avanti, di reinventarsi e progredire, anche con nuove organizzazioni sociali che ci permettano di convivere con questo sgraditissimo ospite virale. In fondo, molti di noi lo stanno già facendo. Io stesso, da metà marzo, lavoro da casa. Ho scoperto un modo nuovo di svolgere le mie attività lavorative “in famiglia”, ridistribuendo i tempi e le attenzioni che ogni progetto, ogni problema, ma anche ogni persona nella vita famigliare richiede. Io e mia moglie abbiamo reinventato il modo di vivere insieme: in famiglia, rimanendo continuamente presenti come mai ci era capitato prima, e con i colleghi di lavoro, con i quali il contatto è senz’altro frequente ma del tutto virtuale. Ne ha guadagnato la serenità famigliare, che ha riscoperto il piacere della presenza costante, e la qualità del tempo dedicato al lavoro, che viene distribuito nella giornata badando al risultato concreto e non soltanto all’orologio. Un “lavoro agile” che stiamo usando anche per tenere riunioni e convegni via internet, sfruttando uno dei tanti sistemi di teleconferenza oggi gratuitamente disponibili. Un sistema di lavoro veramente intelligente che, c’è da scommettere, difficilmente sarà abbandonato proprio per la sua effettiva produttività, che ottimizza l’uso del tempo.
Ecco, se una cosa positiva il COVID-19 ci lascerà in eredità, sarà proprio la riscoperta del tempo come valore da coltivare e preservare. Perché il tempo è probabilmente il bene più prezioso che abbiamo: non si compra, non si può fermare, ma si può spendere bene, anche semplicemente donandolo e declinandolo consapevolmente in tutti i suoi giorni, ore, minuti, secondi. Senza sprecare nulla. Per esempio, riallacciando le relazioni interpersonali via internet che, con le dovute varianti, potremmo applicare anche per i soci di Unitre Augusta. Che ne pensate?
Marco Neri
(Vedi un breve curriculum e gli incontri del Dott. Marco Neri)