29 Aprile 2023
Pubblichiamo la sintesi della lezione di Filosofia dal titolo “Essere “Kalòs géron”, uomo anziano, nell’epoca greca. (Platone, Repubblica 328B - 331D)” tenuta dal prof. Alfio Castro giovedì 27 aprile 2023.
Com’è cambiato nel tempo il nostro rapporto con la vecchiaia?Ha subito profonde modificazioni o è rimasto sostanzialmente identico?
Questa disamina della senectus nel mondo antico non ha (e non può avere) pretese di esaustività. Le fonti in nostro possesso sono lacunose e frammentarie, e le poche pervenuteci non offrono certezze univoche.
In epoca greca arcaica la prima figura di vecchio in cui ci imbattiamo è quella, seppur mitica, di Omero. Il celebre ritratto marmoreo di Omero conservato a Monaco (una copia di periodo imperiale di un originale del 460 a.C.) stigmatizza il “Kalòs géron”: un uomo anziano, in là con gli anni, segnato e scavato nei lineamenti, barbuto, ma visibilmente saggio e dignitoso.
Esegesi di alcuni dialoghi di Platone
Gli autori degli antichi commenti delle opere di Platone hanno già notato che uno degli elementi principali dei dialoghi platonici costituiva l’analisi dei personaggi. Non è, quindi, strano che tra i diversi protagonisti che appaiono sulle carte degli scritti del fondatore dell’Accademia si trovino anche persone anziane. Nella memoria dei lettori rimane per sempre il ritratto di Socrate settantenne tratteggiato da Platone nei dialoghi: Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone e Fedone, nei quali si vede il vecchio filosofo nei momenti più difficili della sua vita.
Non si devono dimenticare le Leggi di Platone, in cui tre anziani cercano di creare un sistema giuridico ideale per uno stato nuovo. Anziana sembra anche Diotima, l’insegnante di Eros di Socrate, come dice egli stesso nel Simposio di Platone (201d). A questa conclusione ci porta il fatto che era una donna così saggia che anche lo stato ateniese si rivolgeva ad essa con la richiesta di aiuto, ogni volta che Atene si trovava in pericolo. Si deve, però, mettere in rilievo che l’autore del dialogo non ha menzionato l’età di Diotima.
Nell’Apologia di Socrate, Platone descrive il vecchio Socrate come colui che è attento all’essenza dell’uomo che è l’anima, così aver cura di sé stessi significa curare la propria anima e non il corpo; insegnare agli uomini la cura della propria anima è, appunto, il compito di ogni educatore ed è quello che a Socrate aveva comandato al Dio. Aver cura della propria anima significa renderla virtuosa e la virtù si identifica con la conoscenza: i veri valori, per Socrate, non sono quelli legati alle cose esteriori, come la ricchezza, la potenza, la fama, o legati al corpo, come la salute, la bellezza, ecc. , ma sono soltanto i valori dell’anima. I valori tradizionali hanno un senso solo se considerati non fini, ma mezzi usati in funzione dell’anima. Senza ironia, Socrate evidenzia che il suo rendere virtuosi gli uomini, curando ed educando la loro anima, rappresenta un vantaggio anche per la città che avrà cittadini giusti, onesti, rispettosi delle leggi e considera la sua scelta di vivere dedicandosi alla missione di educatore, senza ricavarne alcuna ricchezza, anzi, vivendo in povertà, un dono di Apollo alla città.
Analisi della conversazione di Socrate e Cefalo. (Platone, Repubblica 328B – 331D)
Tra gli scritti platonici la Repubblica occupa un posto particolare. Essa appartiene ai dialoghi più interessanti e complessi sia in quanto alla forma sia riguardo al contenuto. Dal punto di vista formale l’intero dialogo si divide in due parti: il prologo e la parte propria dell’opera. Nel prologo si possono distinguere le scenette introduttive tra le quali spicca la relazione della conversazione di Socrate e Cefalo (328b-331d) che costituisce l’oggetto della nostra lezione. La conversazione dei due amici svolge un ruolo significativo nella struttura del dialogo platonico perché dal punto di vista formale i miti tradizionali richiamati da Cefalo creano insieme al mito escatologico della parte finale dell’opera. Una cornice in cui sono contenute le riflessioni sullo stato diritto secondo le regole di giustizia.
Sintesi Libro I
Socrate, dopo aver assistito insieme a Glaucone alle feste Bendidie, al Pireo, sta per tornare a casa ad Atene, ma viene trattenuto da Polemarco, da Adamanto e da altri. Insieme si recano a casa di Cefalo, padre di Polemarco, dove trovano Lisia, Eutidemo, Trasimaco ed altri. Il vecchio Cefalo scambia saluti e cortesie con Socrate.
Glaucone e Socrate che tornano dal porto Pireo dove hanno partecipato alle cerimonie in onore della dea Bendis accettano l’invito di Polemarco e arrivano a casa sua. Socrate che svolge nel dialogo il doppio ruolo: è il narratore e nello stesso tempo uno dei protagonisti dei fatti di cui fa la relazione, descrive in poche parole il posto e i personaggi che sono seduti nel cortile qualche tempo prima della conversazione sullo stato.
Socrate, il narratore divide le sue sensazioni personali con il lettore e rileva che Cefalo gli è sembrato molto vecchio. Il padre di Polemarco gli ha fatto quell’impressione, perché, come spiega nel commento, non l’ha visto da molto tempo e per quel motivo il cambiamento del suo aspetto esteriore è tanto più evidente al nuovo venuto. La relazione di Socrate, anche se molto laconica, contiene però alcuni dettagli che ci permettono di immaginare il posto e soprattutto la persona di Cefalo. L’uomo anziano con la corona in testa era seduto nel cortile su una poltrona con schienale dopo che aveva fatto un’offerta agli dei. Attorno c’erano altri posti da sedere perciò è naturale che proprio lì si siano seduti Socrate e Glaucone. Il narratore descrive, dunque, in poche parole l’ambiente in cui si svolgerà la discussione sulla forma ideale dello stato indicando il luogo d’azione e i rappresentanti dell’élite intellettuale ed aristocratica di Atene i quali reciteranno la parte di interlocutore o di ascoltatore.
Le osservazioni fatte da Socrate le conferma Cefalo stesso.
Il padre di Polemarco prova anche a descrivere generalmente le proprie sensazioni legate alla vecchiaia e rivela che la conversazione è l’unica cosa che gli fa piacere, mentre gli altri desideri, soprattutto quelli corporali sono ormai impraticabili.
A parere di R. Blondell , Socrate accogliendo l’occasione di parlare con Cefalo si rivolge all’anziano ironicamente come ha l’abitudine di fare quando comincia a discutere con un cosiddetto esperto. Secondo lo studioso, questa interpretazione viene confermata da due argomenti. Sembra ironico il fatto che Socrate la cui preferenza per le conversazioni con i giovani è ben conosciuta a tutti, dichiara la sua passione per i discorsi con gli anziani, perché può imparare tante cose interessanti. Nello stesso tempo, come sottolinea R. Blondell, il nostro protagonista sostiene nella parte seguente dell’opera platonica che l’età non garantisca la sapienza.
Quello che appare importante al filosofo è la loro esperienza.
Nella parte introduttiva della Repubblica, Cefalo svolge il ruolo dell’insegnante, mentre Socrate è uno studente. Lo scambio delle parti simboleggia anche la posizione degli interlocutori che assomiglia alle scenette visualizzate sui vasi che presentano le lezioni di un insegnante di grammatica o di musica. Durante le lezioni infatti l’insegnante prendeva il posto su una sedia, mentre gli alunni si sedevano sugli sgabelli. L’argomento della vecchiaia viene evidenziato alcune volte sia nel commento del narratore sia nelle battute di Cefalo e Socrate. Non è quindi strano che diventi il motivo principale del discorso di Cefalo e Socrate.
La maggior parte dei colleghi di Cefalo si lamenta della vecchiaia. Si possono indicare due motivi di quei lamenti: gli anziani con nostalgia ricordano i tempi della giovinezza quando potevano partecipare ai banchetti e avere relazioni amorose con ragazze oppure si lagnano della mancanza di rispetto da parte dei loro famigliari (329e). Nelle Leggi troviamo una visione della vecchiaia dolorosa e faticosa che costituisce il complemento delle opinioni pessimistiche sulla senilità espresse dagli amici di Cefalo (Leggi. 929d-e). Platone distingue tre fattori che possono disturbare la serenità d’animo di una persona anziana: le malattie, il carattere cattivo e le debolezze legate all’età senile.
La vecchiaia ancora più triste aspetta quelli che hanno ingannato la fiducia di altri perché passeranno gli ultimi anni della vita in solitudine, abbandonati dalla famiglia e dagli amici (Leggi. 730c-d). L’uomo non sempre può decidere della propria vita, come suggerisce Platone, perché ogni tanto viene vinto dalla malattia o dalla debolezza corporale e mentale. Molto spesso, però, la senilità dipende dalla vita trascorsa dalla persona anziana, dalla risposta alla domanda: se la vita è stata giusta oppure piena di ingiustizia.
Secondo Cefalo è il carattere che determina il nostro modo di vita, i nostri pensieri ed interessi.
Socrate vuole continuare a conversare sulla vecchiaia perciò provoca il suo interlocutore ricordando l’opinione condivisa da molta gente secondo la quale non il carattere, ma la ricchezza fa sì che le persone benestanti, come Cefalo, tollerano più facilmente le indisposizioni della senilità e dell’avversità della sorte. Cefalo non risponde direttamente alla provocazione, ma racconta un aneddoto che tratta di Temistocle (329e- 330a): un abitante di Serifos ha accusato Temistocle che non deve la sua fama a se stesso, ma alla città d’origine, cioè ad Atene.
Cefalo non è un filosofo vero e proprio, ha, però, le caratteristiche di un uomo saggio e ragionevole che sa accontentarsi di ciò che ha, anche se, secondo gli altri, vive in un periodo, nel quale non si acquistano più tanti piaceri. Non è in grado di cercare la verità insieme a Socrate, ma non gli possiamo rifiutare una sapienza derivata dall’esperienza e una certa istruzione retorica. Come risulta dalle opinioni di Cefalo, per godersi la vecchiaia si deve seguire le regole di una filosofia semplice: non apprezzare troppo i piaceri offerti dalla giovinezza, non fare il male ad altri e offrire agli dei.
Nonostante che negli scritti di Platone si ritrovi oltre alla visione idealistica di vecchiaia anche quella più pessimistica il fondatore dell’Accademia prova sempre a indicare i vantaggi. Il suo atteggiamento positivo verso la vecchiaia risulta dal fatto che per il filosofo la cosa più importante è l’anima immortale, mentre gli altri apprezzano troppo i piaceri corporali, perciò si lamentano quando la debolezza legata all’età senile non glieli permette più.
Gli anziani sono più altruisti e empatici dei giovani: una tendenza più volte confermata a livello scientifico. Questa caratteristica dei soggetti in là con l’età consente loro di apprendere concetti e informazioni più facilmente, superando le barriere cognitive poste dalla vecchiaia. A ipotizzarlo e stato un nuovo studio congiunto tra Università di Birminghan e di Oxford, che si sono concentrati sul cosiddetto apprendimento per rinforzo.
Nel mondo moderno
Edith Stein, filosofa tedesca, attraverso i suoi studi sull’empatia individua nell’atto percettivo di contatto con il mondo esterno dell’Einfühlung (empatia), una possibilità che consente, attraverso il suo dispiegarsi, una reciprocità necessaria per cogliere il sentire di chi è diverso da me.
L’empatia in Edith Stein, la giusta distanza per essere accanto all’altro
Edith Stein (1891-1942) nasce a Breslavia ultima di una famiglia numerosa; il padre muore poco dopo la sua nascita; la madre, donna di carattere forte e di grande fede ebrea osservante, rimarrà per la Stein un importante punto di riferimento. Dotata di un’intelligenza vivace, particolarmente attratta dalla letteratura, Edith inizia gli studi universitari nella sua città natale approfondendo le discipline letterarie ed iniziando a frequentare corsi della nascente scienza psicologica. Inizia in questo periodo la lettura delle Ricerche logiche di Edmond Husserl, professore di filosofia all’Università di Gottinga. Trasferitasi a Gottinga per terminare gli studi universitari, ed affascinata dalla personalità di Husserl, chiede al maestro di farle da relatore per la sua tesi sul tema dell’empatia Einfühlung.
Il 1° gennaio 1922, dopo una conversione legata in particolare alla lettura della Vita di Santa Teresa di Gesù, viene accolta attraverso il battesimo nella Chiesa Cattolica; il suo principale desiderio é quello di entrare immediatamente in convento seguendo l’insegnamento di Santa Teresa, ma le viene sconsigliato in considerazione della grande influenza che avrebbe potuto esercitare dalla sua posizione di filosofa già conosciuta. Inizia così diverse attività legate all’insegnamento in Istituti Superiori, sviluppando in particolare questioni di pedagogia con specifica attenzione ai temi relativi all’educazione della donna; approfondisce, inoltre, lo studio della dottrina tomistica confrontandola con un approccio fenomenologico. Negli anni ‘20 la sua attività di ricerca si fa più pressante con conferenze sempre più frequenti ed impegni sempre più coinvolgenti. Nel 1934 entra nel Carmelo di Colonia, dove prende il nome di Teresa Benedetta della Croce. Nel 1938 la situazione in Germania precipita tanto che il Carmelo non offre più alcuna garanzia di sicurezza; si trasferisce così in Olanda, nel Carmelo di Echt, ma anche in questo luogo non riuscirà a sfuggire alle persecuzioni antisemite. Il 9 agosto del 1942 muore ad Auschwitz insieme alle sorelle. Il 1° ottobre 1999 Giovanni Paolo II la nomina co-patrona d’Europa.
Attraverso i suoi studi la Stein ricostruisce semanticamente l’empatia per arrivare a definirla fenomenologicamente come unico processo conoscitivo in grado di farci cogliere l’intersoggettività. La filosofa tedesca pone il problema dell’empatia perché si rende conto che nell’incontro tra esseri umani si scopre l’inconsistenza della soggettività assoluta; il fatto che ci capiti di incontrare emozionalmente e psichicamente l’esistenza di un’altra persona necessita della capacità di non aver bisogno di tutto quello che costituisce una soggettività autonoma da tutto il resto: i pensieri, la volontà, la coscienza e il comunicare attraverso parole banali. Le parole ci nascono proprio nel momento in cui è necessario renderci conto: una parola chiave dell’empatia, che ci scuote nel momento in cui arriva alla nostra sensibilità, é l’annuncio che un altro o un’altra stanno vivendo qualcosa.
Empatia, secondo la Stein, non è però immedesimazione con l’altro. La filosofa respinge totalmente l’assimilazione dell’atto empatico con l’immedesimazione che considera, invece, come Unipatia. Nell’empatia non c’è un noi, ma due che si mantengono distinti soggettivamente e anzi, si costituiscono soggettivamente nella relazione empatica. In questo frammento la Stein chiarisce il significato di empatia: Io incontro il dolore direttamente nel luogo in cui è al suo posto, presso l’altro, l’altra che lo prova, magari lo esprime nei tratti del volto o lo comunica in altri modi. Non mi abbandono in lei o in lui né proietto o trasferisco le mie qualità. Empatia è un’esperienza specifica, non una conoscenza più o meno probabile o congetturale del vissuto altrui.
Empatia è acquisizione emotiva della realtà del sentire altrui: si rende così evidente che esiste altro e si rende evidente a me stessa che anch’io sono altra. Empatia è allora amore per la sua struttura, è il viversi in relazione (Stein,1986).
Prof. Alfio Castro
(Leggi il curriculum del prof. Alfio Castro e gli altri incontri in aula)
Foto del sig. Francesco Oliveri