12 Aprile 2024
Pubblichiamo la sintesi della lezione di Filosofia dal titolo “La ricerca della felicità” tenuta Giovedì 11 aprile 2024 dal prof. Alfio Castro.
Gli uomini vogliono essere felici e si sforzano di raggiungere la felicità.
Quella della felicità, è stato affermato, è un’esperienza originaria della vita, insita nel modo di essere nel mondo che è proprio dell’uomo (Salvatore Natoli). Però, quando ci si chiede “che cosa è la felicità?”, le risposte non sono mai univoche, poiché è il concetto stesso di “felicità” a risultare sfuggente, problematico, difficile da definire: così le risposte variano a seconda delle persone, delle situazioni, delle concezioni della vita, tanto che si è potuto dire che ogni individuo ha la sua idea di felicità.
Nel Settecento, Alexander Pope scriveva:
Oh, felicità! Meta e scopo del nostro essere! Bene, Piacere, Tranquillità, Soddisfazione! Qualunque sia il tuo nome: quel qualcosa di quieto che provoca il sospiro eterno, per il quale sopportiamo il vivere od osiamo morire...
Per molto tempo – nel mondo antico, ma anche nei primi secoli dell’età moderna – la felicità è stata considerata dai filosofi come un fine in se stesso, anzi il bene supremo della vita. Era essenziale, infatti, organizzare la propria esistenza, progettarla in modo da poter sfruttare ogni possibile occasione di cogliere la felicità e farne prezioso tesoro. Nei secoli a noi più vicini, caratterizzati da una forte fiducia nel progresso, si è voluto concepire la felicità come uno scopo praticabile per tutti, cercando di realizzare una società in cui fossero universalmente garantite condizioni e opportunità per essere felici. Possiamo osservare che la felicità – per l’individuo – è un problema solo quando non c’è, quando viene cercata. Chi è felice, infatti, “non si interroga sulle ragioni per cui lo è”, mentre la mancanza di felicità genera inquietudine, ovvero uno stato di non felicità: e “chi soffre, non solo si interroga sulle ragioni del proprio soffrire, ma tramite la sofferenza eleva se stesso a problema e per tale via si interroga in generale sul senso stesso dell’esistenza”. Ecco allora quando la felicità diventa questione filosofica: non si è felici ma si desidera esserlo; si pone, così, il problema del significato della felicità e quello delle strategie da adottare per raggiungerla. Ma non sempre è stato così; o, almeno, non sempre è apparso così ovvio indicare la felicità come fine di tutte le azioni umane, benché i filosofi dell’antichità lo avessero spesso teorizzato. Come osserva il sociologo polacco Zygmunt Bauman, “c’è motivo di supporre che la scelta della penitenza (e, più in generale della sofferenza), anziché della felicità, quale supremo scopo della vita e destinazione degli esseri mortali abbia caratterizzato in modo più significativo e fecondo la ‘tradizione occidentale’ per gran parte della sua storia”. La sofferenza, non la gioia, era vista come destino dell’uomo; il problema era quello di riuscire a darle un significato, a riconciliarsi con essa, ad esempio – nella tradizione ebraica e cristiana – riconoscendole una capacità redentrice. Oppure si pensava che l’atteggiamento più razionale fosse l’accettazione del dolore, visto che non aveva senso pensare a una sua scomparsa.
In effetti, la felicità come supremo scopo della vita di tutti gli esseri umani è acquisizione recente: da premio per la vita misurata e virtuosa di pochi e privilegiati “saggi”, la felicità è divenuta un diritto universale. Questo passaggio da privilegio a diritto – afferma Zygmunt Bauman – “fu un vero e proprio spartiacque nella storia della felicità”. Così è diventato un dovere della società rendere felice ogni suo membro.
Il diritto alla felicità è strettamente connesso al diritto alla libertà, poiché entrambi sono costitutivi di uno stato di “benessere”, di uno “star bene” che, in ogni individuo, è caratterizzato, sì, dalla possibilità di fruire dei mezzi fondamentali per condurre l’esistenza, ma anche dalla possibilità di esercitare pienamente alcune capacità e funzioni fondamentali (capacità primarie in ogni essere umano), a cominciare da quelle dell’intelligenza. Lo sostenevano gli antichi (a cominciare da Platone e Aristotele) e lo sostengono, oggi, teorici della morale e della politica e persino economisti (in particolare il premio Nobel Amartya Sen), per i quali l’esercizio di tali capacità è alla base della stessa idea di libertà, da loro intesa come libertà positiva (cioè libertà di fare, libertà di...) e non solo come libertà negativa (cioè libertà da..., libertà da intrusioni e interferenze esterne).
Prof. Alfio Castro
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Foto della socia Teresa Galofaro