26 Marzo 2019
Pubblichiamo una sintesi della lezione tenuta lunedì 25 marzo 2019, presso l’Aula Magna del II Istituto di Istruzione Superiore “Gaetano Arangio Ruiz”, dal Dr. Mauro Farina, Dottore in Lettere moderne, sul tema “Osservare la realtà con le parole (e i pensieri) del popolo: Giovanni Verga e Rosso Malpelo.”
La figura di Giovanni Verga è quella di un autore che, nonostante una distanza temporale relativamente significativa rispetto a noi, offre ancora oggi notevolissimi spunti di riflessione.
Innanzitutto, la collocazione spaziale. Verga è un nostro conterraneo: egli nacque a Catania nel 1840 e qui ebbe modo di compiere la sua prima formazione intellettuale, sotto la guida del maestro Antonio Abate, che lo spronò più volte all’attività letteraria. Gli anni della giovinezza di Verga sono quelli del fervore patriottico. Verga rimase affascinato dall’Unità di Italia (1861) tanto che su di essa fondò le prime esperienze letterarie, componendo “Amore e Patria “ e “I carbonari della montagna”.
La Sicilia, però, risultava sempre più asfissiante e limitante per la formazione di un giovane intellettuale. Pertanto, egli – seguito dal grande amico Luigi Capuana – preferì spostare il suo soggiorno in alto Italia, in special modo a Milano, dove ebbe modo di entrare in contatto coi circoli della Scapigliatura milanese e, cosa importantissima, aver la possibilità di leggere e studiare il romanzo “Assommoir” di Emile Zola, che lo introdusse ad un nuovo modo di narrare, dove il fulcro della narrazione era il “vero” e non più il “bello”.
Sono anni di particolare crisi per la figura dell’intellettuale, non solo italiano ma europeo perché, a fronte delle dottrine illuministe e positiviste che si basavano sulla fiducia nella scienza, venne meno il considerare l’intellettuale come modello di riferimento per la società. La letteratura perde la sua funzione “sociale” avuta fino agli inizi del secolo XIX. Verga, allora, concepì che il modello zoliano potesse essere un valido elemento per rilanciare la letteratura e la figura dell’intellettuale nella società.
L’occasione propizia si presentò nel 1875 con la pubblicazione del dossier “Inchiesta in Sicilia” redatto da Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, dove veniva denunciata la situazione assai poco felice del meridione, l’arretratezza economico – sociale, lo sfruttamento minorile e l’usurante lavoro nelle miniere di zolfo.
Da questa inchiesta, Verga troverà lo spunto per la sua nuova narrazione. Una narrazione che dovrà descrivere la situazione siciliana. Una descrizione che non viaggerà mediante la descrizione oggettiva delle cose, bensì tramite le parole del popolo. Verga, pertanto, concepì una nuova tecnica di straniamento, definita tecnica della regressione, secondo la quale l’autore fa regredire il proprio pensiero portandolo a quello del popolo, fino a dire che un ragazzo è cattivo perché ha i capelli rossi.
Certamente, l’altezza intellettuale di Verga non avrebbe mai potuto pensare che un connotato somatico potesse decretare il carattere di una persona, ma egli, mediante la tecnica della regressione, mette da parte il suo pensiero per presentare (e presentarci) l’opinione del popolo.
Rosso Malpelo, novella composta nel 1878 e racchiusa nella raccolta “Vita dei Campi”, narra la vicenda di un ragazzo odiato dalla società a causa del colore dei capelli, accusato di ogni cattiveria e velleità. Ma narra anche la vicenda di un popolo, quello catanese del “Cifali”, in preda alla crisi socioeconomica, oppresso da un lavoro usurante come quello nella cava di rena rossa, principale fonte di guadagno ma anche principale causa di morte (Mastro Misciu, il giovane Ranocchio e lo stesso Rosso perderanno la vita tra quelle gallerie sotterranee). La figura di Rosso, però, porta Verga – e noi – ad una riflessione. Verga identifica Rosso con l’escluso, l’emarginato dalla società. Certamente, con questa figura Verga identificò innanzitutto l’intellettuale ottocentesco ma, ad un’attenta analisi, il tema dell’escluso può aprire innumerevoli spazi di comparazione e riflessione. Oggi sono molti gli esclusi della società e sono moltissimi i pregiudizi che si fondano a causa della dicotomia “Noi vs Altri”, “normale vs diverso”, dove noi siamo sempre i buoni e gli altri sono sempre i cattivi.
Ma è veramente così? In una narrazione che si basa sull’intenzione di descrivere i fatti, Verga trova uno spazio per mostrare la vera natura di Rosso, quella di un ragazzo buono, di buoni sentimenti, che sprona – anche con metodi non certo raccomandabili – il giovane Ranocchio. Rosso nutre un sentimento di affetto nei confronti di Ranocchio, il quale, però, è malato di Tubercolosi. Uno dei gesti che mostra questo voler bene a Ranocchio lo si evince in quella scena dove Rosso, vedendo Ranocchio profondamente debilitato, rinuncia al suo pasto (mezza cipolla, alimento oggi abbastanza comune ma che, in tempi di fame, poteva essere una grandissima fonte di sussistenza) per donarlo al ragazzino. Sembra il comportamento di un ragazzo cattivo, violento? Il vero cattivo è Rosso oppure è la società che, con la sua cattiveria ha portato il ragazzo a chiudersi ed incattivirsi? Anche oggi, lungi dal far di tutta l’erba un fascio, il diverso, l’escluso è veramente cattivo come alcune idee stereotipate vogliono farci credere o è la società ad essere “cattiva” nei loro confronti? Allora da Giovanni Verga si alza una voce, si innalza un invito alla società, a non fermarsi al velo della superficialità, ma a scendere nelle profondità, per riscoprire quell’umanità, quella filantropia che nel mondo odierno spesso vacillano.
Dedico questo mio contributo e questa mia prima lezione per l’Accademia UniTre alla cara memoria della professoressa Liliana Milardo, mia docente di Letteratura Italiana e Latino al Liceo, scomparsa lo scorso 20 Marzo, colei che m’insegnò “como l’uomo s’etterna”.
Mauro Farina.
(Leggi il curriculum del Dr. Mauro Farina)