25 Febbraio 2017
Pubblichiamo la relazione che il Sig. Carmelo Addia ha esposto in Aula Magna, giorno 19 gennaio 2017, dal tema: Personaggi di ieri e di oggi: “San Giuseppe Moscati”.
La Famiglia Moscati proveniva da Santa Lucia di Serino, un paesino in Provincia di Avellino. Qui nacque, nel 1836, Francesco, padre di Giuseppe Moscati, il quale dopo essersi laureato in giurisprudenza, diventa giudice del Tribunale di Cassino, poi Presidente del Tribunale di Benevento, successivamente Consigliere di Corte d’Appello ad Ancona e poi a Napoli. A Cassino, Francesco si sposò con Rosa De Luca della Famiglia dei Marchesi di Roseto, la quale diverrà madre di nove bambini, tra i quali Giuseppe che sarà il settimo.
La Famiglia si trasferì da Cassino a Benevento nel 1877 in seguito alla nomina di Francesco Moscati a Presidente del Tribunale di Benevento. In questa Città nacque Giuseppe Maria Carlo Alfonso Moscati, il 25 Luglio del 1880, fu battezzato da Don Innocenzo Maio sei giorni dopo la nascita. Il padre, promosso consigliere di Corte d’Appello, si trasferì nel 1881 ad Ancona portando con sé tutta la famiglia. Nel 1883, dopo la morte dei fratelli di Giuseppe: Domenico e Alfonso, a causa del terremoto del 28 Luglio che aveva colpito la Città di Casamicciola , Francesco si recò, con tutta la famiglia, in pellegrinaggio a Loreto. Francesco Moscati e la moglie Rosa De Luca impartirono ai figli un’educazione religiosa seria e profonda e nel contempo una buona formazione culturale.
Nel 1884 Francesco Moscati, trasferito alla Corte d’Appello di Napoli, si stabilì in quella Città con tutta la famiglia in via Cisterna dell’Olio. L’8 Dicembre del 1888, Giuseppe ricevette la prima comunione nella Chiesa delle Ancelle del Sacro Cuore. In questa Chiesa la famiglia Moscati incontravano sovente: il Beato Bartolo Longo e Santa Caterina Volpicelli.
Il Beato Bartolo Longo, è stato il fondatore del Santuario della Madonna del Rosario di Pompei. L’Opera realizzata da Bartolo Longo ha avuto il suo solenne riconoscimento con la sua Beatificazione da parte di Giovanni Paolo secondo, avvenuta il 26 Ottobre del 1980. Le sue spoglie riposano nella cripta sottostante la basilica del Santuario.
Santa Caterina Volpicelli, è stata la fondatrice della congregazione del Sacro Cuore, alla quale la famiglia Moscati era spiritualmente legata. Caterina Volpicelli venne dichiarata venerabile il 25 Marzo del 1945 da Papa Pio XII. Il 29 Aprile 2001 Giovanni Paolo II l’ha proclamata Beata. Il 6 Dicembre 2008, Papa Benedetto XVI ha firmato il decreto di riconoscimento di miracolo attribuito all’intercessione della donna. E’ stata canonizzata in Piazza San Pietro a Roma il 26 Aprile del 2009 da Papa Benedetto. I suoi resti mortali sono venerati nel Santuario Diocesano del Sacro Cuore a Napoli.
Napoli era la città di adozione di Giuseppe Moscati fin dalla fanciullezza. Ma Santa Lucia di Serino è il paese dei sui antenati era il paese che prediligeva, infatti ogni anno la famiglia Moscati vi si trasferiva per le vacanze estive. Quei luoghi, nel folto dell’Appennino Campano, erano particolarmente adatti a sperimentare il contatto con la natura e respirarne i profumi, coglierne i sospiri. In quei luoghi Giuseppe e i sui fratelli erano liberi e le memorie e le esperienze dell’infanzia rimangono incancellabili nella memoria di Giuseppe Moscati, come siti esclusivi, riservati e particolarmente cari anche nell’età adulta.
I Moscati erano prodighi di aiuto per quanti fossero nel bisogno.
Nel 1889, Giuseppe inizio gli studi ginnasiali presso l’Istituto Vittorio Emanuele, mostrando interesse per lo studio, conseguì brillantemente la maturità nel 1897. Ha diciassette anni. Ora si tratta di scegliere l’indirizzo universitario per la carriera da intraprendere. Essendo figlio di un magistrato e con il fratello maggiore Gennaro già avviato agli studi forenzi, probabilmente il padre avrà pensato che Giuseppe seguisse le loro orme. Ma, con somma sorpresa di tutti in famiglia, annuncia che ha scelto di iscriversi in Medicina. La madre, apprensiva come tutte le mamme, e conoscendo la natura sensibile del figlio, pensa a come reagirà quel ragazzo a contatto continuo col dolore umano. Perciò esorta Giuseppe a riflettere su questa realtà futura. Ma il giovane la riassicura dicendole che è disposto anche a coricarsi nel letto dell’ammalato. Risposta inaspettata ma dettata certamente dell’intenzione di rassicurare la madre. Il padre rispetta la scelta del figlio come uomo di Fede sa che i figli sono affidati da Dio ai genitori perché li preparino a entrare nella vita. I genitori, si sa, coltivano sempre dei sogni sui loro figli ma la realtà spesso si rivela differente dai loro sogni. Viene da chiedersi come mai questa scelta di Giuseppe per la professione medica, visto che il famiglia, vi erano interessi per la carriera forenze. Molti sono concordi nell’opinare che l’incidente e la malattia del fratello Alberto abbiano influito nella scelta del giovane. Le cose andarono così: è il 1892, Alberto il secondogenito, un ragazzo vivacissimo, a sedici anni aveva vinto il concorso per l’Accademia Militare di Torino. A diciannove anni era tenente di artiglieria. Ma un giorno, durante una parata militare, cadde da un cavallo imbizzarrito e ne riportò un grave trauma cranico. Dapprima sembrò che l’incidente non fosse così grave. Ma quando il giovane tornò a Napoli due anni dopo, la famiglia si rese conto della gravità della situazione. Il trauma gli aveva causato una forte forma di epilessia da cui, purtroppo, non guarirà mai.
La malattia di Alberto fu una esperienza molto dolorosa per tutta la famiglia. Le convulsioni che lo scuotevano, a volte duravano anche una intera giornata. Giuseppe, più giovane di dieci anni, trascorreva lunghe ore accanto al fratello. Non potendo alleviare il suo patire, almeno gli teneva compagnia col suo affetto. Di fronte a tanta sofferenza in una vita così giovane e senza speranza di guarigione, Giuseppe fa esperienza della realtà penosa e talvolta tragica del dolore. Forse è di allora l’intenzione di “ lenire il dolore “ con la preghiera quando non si può eliminare con la medicina.
E’ probabile, dunque, che la sua scelta sia stata realmente suscitata da quella dolorosa, quotidiana esperienza accanto al fratello.
Nel 1897, Giuseppe iniziò gli studi di medicina, ma nell’ottica di considerare l’attività del Medico come una missione sacerdotale.
Nel 1897, Giuseppe ha il primo grande dolore della sua vita: la morte del padre. E’ domenica 21 Dicembre 1897 Francesco Moscati va a messa, ma un malore lo costringe a ritornare a casa. Una emorragia celebrare lo porta alla tomba in due giorni. Lucido, affida la famiglia alle cure del primogenito Gennaro. E’ serenamente entra nell’altra vita.
Per la famiglia Moscati si prospettano giorni difficili. I figli più piccoli sono da seguire e poi c’è Alberto sempre ammalato. Ma la fede sostiene nelle angosce e nelle preoccupazioni di vario genere. Giuseppe, alle prese con gli studi universitari, certamente si sente più solo. Ma la vita continua e bisogna trovare il coraggio di andare avanti.
Intanto Gennaro, il primogenito, già avvocato sostituì il padre nelle cure della casa. Molti anni dopo Giuseppe se lo ricorda con riconoscenza, sottolineando che questo fratello maggiore ha fatto veramente le veci del padre in famiglia e si è occupato di loro che erano più piccoli. Perciò per lui è doveroso il rispetto e l’ossequio di tutti. Il 3 Marzo 1900, Giuseppe ricevette la cresima dal vescovo ausiliario di Napoli. Il 4 Agosto 1903 si laureò, a pieni voti e merito di stampa, con una tesi sull’UROGENESI EPATICA, cioè lo studio sulle vie linfatiche dall’intestino ai polmoni. Dopo pochi mesi si presentò ai concorsi per assistente ordinario agli Ospedali Riuniti degli Incurabili superando le prove. Impegnò la sua professione di Medico all’Ospedale degli Incurabili per cinque anni. E il dolore si affaccia ancora nella vita del giovane Moscati. Il 2 Giugno 1904 muore il fratello Alberto. Aveva soltanto trentatre anni, Alberto, già sofferente per l’incidente di Torino, aveva lasciato la famiglia e si era ritirato presso la comunità dei Fatebenefratelli di Benevento. Per il dottor Moscati si rinnova il dolore che aveva già sperimentato pochi anni prima, con la morte del padre. L’evento della morte del fratello Alberto, persuase il giovane Giuseppe da una parte, alla brevità della vita umana, dall’altra di doversi dedicare interamente alla professione medica.
All’epoca la facoltà di Medicina, insieme a quella della Filosofia, erano quelli più influenti dalle dottrine del materialismo.
Gli Ospedali Riuniti di Napoli hanno un distaccamento nella città di Torre del Greco, quindi nell’area Vesuviano, a soli sei chilometri dal Vesuvio. In questo Ospedale si trovavano ricoverati molti ammalati anziani, parecchi dei quali invalidi e nella impossibilità di muoversi. Nell’Aprile del 1906 , mentre il Vesuvio iniziò ad eruttare ceneri e lapilli sulla città di Torre del Greco, emerse in Giuseppe Moscati la capacità di agire tempestivamente: si premunisce del permesso necessario e invia mezzi di trasporto per gli ammalati. Lui stesso aiuta nell’operazione di sgombero delle corsie. Quando l’ultimo ammalato è stato messo in salvo, crolla il tetto dell’ospedale sotto il peso di ceneri e lapilli. Senza l’opera tempestiva di Moscati sarebbe stata una tragedia. Da questo episodio che, date le circostanze può avere dell’eroico, emerge subito all’attenzione la grande umanità del giovane medico. Era laureato da soli tre anni. Non solo, ma nei giorni successivi si preoccupa anche che arrivi un riconoscimento ufficiale alle persone che hanno collaborato con lui a mettere in salvo gli ammalati. E invia una lettera al Direttore Generale degli Ospedali Riuniti proponendo gradifiche per quanti si sono prodigati in quell’opera umanitaria. E per se? Per se niente. Anzi supplica il Direttore di ignorarlo per “ non destare cenere “ dice con la sua abituale ironia. Ciononostante, l’Amministrazione degli Ospedali Riuniti volle ugualmente tributargli un pubblico encomio con la motivazione “ Per aver salvato la vita a 70 persone paralitiche dell’Ospedale di Torre del Greco” .
Nel 1908, dopo aver superato il concorso di assistente ordinario per la cattedra di Chimica Fisiologica, iniziò a svolgere attività di laboratorio e di ricerca scientifica nell’Istituto di Fisiologia di Napoli. Nel 1910 vinse il concorso di coadiutore negli Ospedali Riuniti degli Incurabili, dove portò il calore del suo entusiasmo e la luce della fede, iniziò ad essere attorniato da gruppi di giovani studenti e da medici ansiosi di apprendere il segreto della sua arte. Nello stesso anno gli fu conferita la libera docenza in Chimica Fisiologica, su proposta del Professore Antonio Cardarelli, e iniziò l’insegnamento d’indagini di laboratorio applicate alla Clinica e di Chimica applicata alla Medicina secondo programmi del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, rimase ad insegnare all’Ospedale degli Incurabili dal 1911 al 1923.
Nel 1911 Moscati fu inviato a Vienna dal Professore Gaetano Rummo, clinico insigne e parlamentare, componente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, per assistere al convegno internazionale di Fisiologia. Sempre nel 1911 vince il concorso al Servizio di laboratorio nell’Ospedale Cotugno e per medico condotto.
Nel 1911, un’epidemia di colera colpì Napoli e Moscati fu chiamato dall’ Ispettorato della Sanità Pubblica, presso il quale presentò una relazione sulle opere di risanamento della città, in parte condotte a compimento. Nel 1914 mori la madre, affetta da diabete. Prima di morire disse ai figli: Figli miei mi fate morire contenta. Fuggite sempre il peccato, che è il più grande male della vita.
Allo scoppio della prima guerra mondiale presentò domanda di arruolamento volontario, ma la domanda gli venne respinta dal Ministero delle Guerra, per tenerlo a prestare soccorso ai soldati feriti di ritorno dal fronte. Venne nominato direttore del reparto militare dal 1915 al 1918. in questo periodo visitò circa 3000 soldati. Tra il 1916 e il 1917 supplisce al Professore Pasquale Malerba alla cattedra nel corso ufficiale di Fisiologia.
Dal 1917 al 1920 sostituisce il Professore Filippo Bottazzi, il padre della Biochimica Italiana, nell’insegnamento di Chimica Clinica.
All’inizio degli anni venti Moscati si dedico anche ad alcuni importanti studi di Storia della Medicina e alle ricerche effettuate dal fondatore della Scuola Medica Napoletana il Professore Domenico Cotugno.
Il 18 luglio 1923 compie un viaggio a Edimburgo per il Congresso Internazionale di Fisiologia. Numerose ricerche effettuate da Moscati furono pubblicate su riviste Italiane e Internazionali, tra i quali le ricerche sulle reazioni Chimiche del Glicogeno. Il Glicogeno funge da riserva energetica. Esso viene depositato prevalentemente nel fegato e nel muscolo scheletrico, e altresì presente in altri tessuti del corpo umano, tra cui il cuore e i reni.
Ai tempi di Moscati la medicina non beneficiava ancora degli strumenti ad alta tecnologia oggi disponibili, ed il medico spesso doveva affidarsi alla sua esperienza personale, al suo intuito e alla sua abilità. Giuseppe Moscati dimostrò di possedere queste doti in misura eccezionale e in più occasioni stupì pazienti e colleghi con diagnosi che potevano sembrare azzardate, ma che il più delle volte si rilevavano corrette confermando la sua eccezionale capacità. Moscati dava molta importanza alla visita, al colloquio col l’ammalato, ai sintomi, in più si aggiornava continuamente, seguendo le pubblicazioni Italiane e Straniere su libri e riviste. Un episodio che mette in luce le sue straordinarie doti di clinico e che è rimasto famoso per la notorietà del personaggio coinvolto, fu la malattia del tenore Enrico Caruso. Questi, nell’ultima fase della sua vita, gravemente ammalato, dopo varie e infruttuosi consulti medici in America, sbarcò a Napoli. Moscati fu convocato per una vista, era luglio del 1921. Gli praticò una puntura esplorativa e diagnosticò “ un accesso sub frenico della cupola del diaframma” , diagnosi che nessuno dei luminari consultati aveva fatto, purtroppo posta troppo tardi per salvargli la vita. Enrico Caruso pochi giorni dopo morì. La notizia della brillante diagnosi di Moscati si diffuse anche oltreoceano e accrebbe la popolarità e la reputazione di Moscati.
Gli episodi narrati sulle straordinarie doti del medico Napoletano sono numerosi, tuttavia è forse più significativo ricordare che più di una volta laddove anche le sue brillanti capacità non arrivavano alla soluzione del problema egli si affidava con grande umiltà alla preghiera, riconoscendo il proprio limite ed aprendosi alla luce della grazia.
La sua fede era accompagnata da una altrettanto viva carità che si esplicava nel suo quotidiano, vivendo in modo esemplare la vita famigliare e lavorativa, e che si distinse in modo particolare nella predilezione rivolta ai poveri. Fu definito infatti dai colleghi “ Medico dei poveri” . Lo spingeva verso di essi l’amore a Gesù, di cui scorgeva l’immagine nei più sventurati, non solo perché colpiti da malattie fisiche, ma anche per la miseria materiale e morale. I suoi onorari furono sempre inferiori a quello che avrebbe potuto chiedere vista la sua posizione, tanto da suscitare le lamentele dei colleghi. Sono innumerevoli le testimonianze su visite da lui fatte gratuitamente o in cui accettava un onorario di gran lunga inferiore al dovuto vedendo le condizioni indigenti dell’ammalato. Lo studio di Via Cisterna dell’Olio era infatti sempre pieno di pazienti in attesa di incontrarlo. A loro Moscati raccomandava anzitutto di mettersi in pace con Dio, e poi, dopo essersi reso conto delle condizioni economiche li esortava a lasciare quanto potevano in un cestino all’ingresso, o in alternativa a prendere quello di cui avevano bisogno.
Spesso prendeva a cuore alcuni dei suoi ammalati, si racconta che aveva pregato un anziano paziente, che viveva molto lontano da casa sua, a recarsi ogni mattina, a proprie spese, a far colazione in un caffè davanti al quale era solito passare. Con questo sistema si sarebbe così assicurato ogni giorno delle sue condizioni di salute.
L’amore a Gesù e ai poveri lo portò a vivere lui stesso la povertà, liberamente scelta, vista la posizione che gli avrebbe consentito una vita non solo agiata , ma di vero lusso. Non era attaccato al denaro ma dava ai poveri ciò che aveva, vestiva modestamente, era sobrio nel cibo e fuggiva ogni ricercatezza. Non possedeva neppure un’auto personale, sebbene gli sarebbe stata molto utile nell’esercizio della professione.
La giornata di Giuseppe Moscati era così organizzata: al mattino si recava a visitare gratuitamente gli indigenti nei quartieri spagnoli prima di prendere servizio in Ospedale, per poi visitare al pomeriggio i malati del suo studio privato. Moscati considerava necessario per occuparsi del malato, il considerarlo non come un semplice portatore di una malattia da guarire, ma come una persona da curare sotto l’aspetto fisico e anche emotivo spirituale. Rinunciò nel 1917 alla Cattedra Universitaria e all’insegnamento, per continuare il lavoro in Ospedale.
Il consiglio d’Amministrazione dell’Ospedale degli Incurabili lo nominò Primario nel 1919. Nel 1921 Giuseppe Moscati inviò al Ministero della Pubblica Istruzione la domanda per essere abilitato per titoli alla libera docenza in Clinica Medica Generale; il 6 Giugno 1922 la Commissione nominata dal Ministero esaminò i titoli e lo ritenne idoneo a conseguire la libera docenza esonerandolo all’unanimità, in virtù dei lavori proposti, dalla discussione dei lavori presentati, dalla lezione e dalla prova pratica. Quando nel 1922 venne sperimentata l’insulina, Moscati la utilizzò a Napoli, organizzando un gruppo di persone per la cura del diabete.
Il 12 Aprile 1927, dopo aver preso parte alla messa e aver espletato i sui compiti in Ospedale e nel suo studio privato, si sentì male, spirò sulla sua poltrona. Aveva 46 anni e otto mesi.
La notizia della sua morte si diffuse rapidamente, e alle esequie vi fu una notevole partecipazione popolare. Soprattutto i poveri lo piansero sinceramente, perché avevano perduto il loro benefattore. Nel registro delle firme, posto all’ingresso della casa, tra le altre fu trovata questa frase: “ Non hai voluto fiori e nemmeno lacrime ma noi piangiamo, perché il mondo ha perduto un Santo, un esemplare di tutte le virtù, i malati poveri hanno perduto tutto”. Il 16 Novembre 1930 i suoi resti furono traslati dal Cimitero della città di Poggioreale alla Chiesa del Gesù Nuovo di Napoli, racchiusi in una urna bronzea. Il vuoto che lasciava poté essere superato solo dalla luce della fede che lo sapeva in Dio, e ben presto si iniziò a pregarlo come Santo. In quella occasione, più felice di tutti era Anna Moscati, chiamata dai famigliari Nina, sorella del Professore, che dopo esserci stata sempre vicina in vita, aiutandolo nell’esercizio della sua carità, dopo la morte del fratello aveva donato alla Chiesa del Gesù Nuovo il vestiario, il mobilio, e le suppellettili del fratello. Alla sua morte, avvenuta il 24 Settembre 1931, il suo corpo fu tumulato in una sala dell’altare di San Francesco Saverio, sempre nella Chiesa del Gesù Nuovo, e la lapide a destra di questo altare la ricorda ancora.
Molti erano coloro che visitavano la sua tomba, per lo più poveri e gente di umili condizioni che avevano beneficiato dei suoi servizi. Il suo ricordo invece di affievolirsi nel tempo, aumentava, alla famiglia iniziarono ad arrivare lettere da ogni parte e pochi anni dopo la sua morte veniva comunemente chiamato il “ Santo di Napoli “. Numerose furono le grazie attribuite al suo intervento.
Giuseppe Moscati è stato Medico e ricercatore, dedicò la sua attività, all’assistenza dei sofferenti, curandoli gratuitamente e anche aiutandoli economicamente. Moscati sosteneva che non dovesse esserci contraddizioni o antitesi tra scienza e fede; entrambe dovevano concorrere al bene dell’essere umano.
Vedeva l’Eucarestia come centro della propria esistenza, ed era fortemente legato al culto della Vergine Maria. Si preparava durante le festività della Madonna digiunando nei giorni in cui era richiesto. Inoltre, anche in età giovanile, scelse la castità.
La sua concezione del rapporto tra fede e scienza si riassume in un pensiero: “ Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo, in alcuni periodi, e solo pochissimi uomini son passati alla storia per la scienza, ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell’eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più alto servizio, se si dedicheranno al bene”. Il Professore Moscati non coltivava le scienze mediche per scopo commerciale, ma per puro sollievo e conforto al suo nobile spirito, così come traeva conforto dal culto religioso.
Il Professore Moscati era un personaggio, come testimoniarono i suoi paranti, i suoi colleghi e quanti l’hanno conosciuto, e anche dai suoi scritti, dove emerge una personalità matura sia dal punto di vista morale, religioso e professionale, sia intellettuale e umano. Le sue doti affascinavano coloro che gli erano vicini, dalla sua persona promanava un fascino distinto, che lo rendeva di buona compagnia. A questa personalità non poteva mancare il gusto del bello, che intravedeva nella natura e negli atteggiamenti delle persone. Moscati è attratto da tutto ciò che circonda la natura: fiori, alberi, uccelli, campagna e da tutto ciò che il genio umano ha saputo creare. Era amante dell’arte e alla storia antica. Non si concedeva altri svaghi come andare al teatro o al cinema. Erano tutti modi con cui si esercitava a conservarsi sobrio e povero, come gli ammalati che prediligeva visitare. Numerosi sono i racconti di pazienti che si videro recapitare indietro la somma con cui l’avevano pagato.
I poveri per lui, erano le figure di Gesù Cristo, anime immortali, divine, per le quali urge il precetto Evangelico di amarli come noi stessi.
Vengono alla mente le parole di Papa Francesco che ha pronunciato l’espressione definendo i poveri “ Carne di Cristo”.
I Padri Gesuiti, a cui tuttora e affidata la Chiesa di Gesù Nuovo di Napoli, non raccolsero solo la sua eredità materiale, ma si fecero custodi del suo ricordo e seguirono l’andamento della sua fama di santità. Nella splendida chiesa del Gesù Nuovo di Napoli, vi è l’urna di bronzo dove è custodito il corpo del Santo. Il 7 Ottobre del 1990 è stata collocata , alla sinistra di chi guarda l’urna, una statua in bronzo realizzata dallo scultore Pier Luigi Sopelsa di Venezia. Prima di giungere a Napoli, la statua è stata benedetta dal Beato Giovanni Paolo II a Benevento dove 110 anni prima era nato Giuseppe Moscati.
La Chiesa del Gesù Nuovo ogni giorno è meta di visitatori: mamme; bambini; studenti; ammalati; turisti. Persone accompagnate dal loro bagaglio di attese, speranze, dolore, entrano per andare a toccare la mano della statua, un San Giuseppe al altezza naturale, con un volto sereno, lo sguardo fiero, la mano sul cuore a tenere lo stetoscopio come a sentire ancora il battito del cuore dei suoi ammalati dei suoi poveri. La mano aperta del Santo, è diventata, negli anni, lucida e consumata per le carezze di chi si ferma per pregare e per trovare conforto. Carezze come segno di devozione del popolo per il suo medico Santo.
La sua causa di beatificazione si è svolta nella diocesi di Napoli a partire del 1931. La Congregazione per le cause dei Santi, a Roma, emanò il Decreto sulle virtù eroiche, per cui Giuseppe Moscati viene dichiarato venerabile il 10 Maggio 1973. Nel frattempo venivano istruiti i processi per l’esame di due miracoli: il primo miracolo ad un maresciallo degli agenti di custodia, Costantino Nazzaro di Avellino; il secondo miracolo a Raffaele Perrotta di Caserta. A seguito di ciò Moscati è stato beatificato a Roma dal Beato Paolo VI, durante una solenne cerimonia in Piazza San Pietro il 16 Novembre 1975. La devozione per Moscati cresce sempre più. In vista della canonizzazione, fu scelta ed esaminata la guarigione da leucemia, del giovane Giuseppe Montefusco, avvenuta nel 1979. La madre del Montefusco, Rosaria Rumieri, avvilita per la diagnosi infausta del figlio, vide una notte in sogno la foto di un medico in camice bianco. Raccontò il sogno al suo Parroco, che le parlò del Beato Medico Giuseppe Moscati. La Signora si recò nella Chiesa di Gesù Nuovo; e subito riconobbe il volto della foto vista in sogno. A seguito del riconoscimento di ulteriori miracoli, necessari per farlo Beato, secondo la legislazione dell’epoca. Alle ore 10 del il 25 Ottobre 1987, in piazza San Pietro, il Papa Giovanni Paolo II, dinanzi a circa 100.000 persone dichiara Santo Giuseppe Moscati a 60 anni dalla sua morte . Nell’omelia pronunciata durante la messa della canonizzazione Giovanni Paolo II disse: Non solo in vita si è interessato dei sofferenti e di coloro che ricorrevano a lui, ma ha continuato e continua a farlo soprattutto dopo la morte.
La memoria Liturgica di san Giuseppe Moscati è il 16 Novembre . Quello è anche il giorno della sua beatificazione e della sua traslazione nella Chiesa del Gesù Nuovo. Alla cerimonia di Canonizzazione era presente il miracolato Giuseppe Montefusco di 29 anni, con la madre che offrì al papa il volto di Cristo in ferro battuto, da lui stesso realizzato nella sua officina di Somma Vesuviana.
Commenti personali:
La mia ricerca fatta sulla breve vita di Giuseppe Moscati mi colpisce per le sue doti umane. Era un uomo che la gioia del Vangelo gli aveva riempito il cuore, e con il Vangelo aveva incontrato Gesù. Lavorava intensamente ritenendo che, quando si tratta di esercitare un’arte difficile come la medicina, sia la coscienza stessa di un uomo onesto ad essere chiamata in causa, e che costui nei limiti delle proprie forze, debba consacrare lo studio ogni istante, poiché dalla perdita di uno solo minuto può dipende la vita dei sui simili. Moscati ha sempre onorato le sue funzioni, adempiendoli nella maniera più disinteressata, nelle vesti di benefattore dei poveri, ha messo in atto e consacrato con amore quanto riportato nel Vangelo di Marco che dice: “Mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò : Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna? Gesù gli disse: Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non solo Dio. Tu conosci i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora il padre e la madre. Egli allora gli disse: Maestro tutte queste cose le ho osservate sempre. allora Gesù lo guardò e gli disse: Una cosa ti manca: và vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri avrai un tesoro in cielo; e vieni ! Seguimi.” Ecco questo è quello che Moscati ha fatto, ha dato se stesso e ciò che possedeva per darlo ai poveri, piuttosto che come un uomo che deve vivere della propria professione. Molti uomini, e tra questi Moscati, in questo mondo restano imperituri per le opere che hanno realizzato e per l’impegno che hanno profuso verso l’umanità, hanno lasciato un’impronta che né il tempo né tutte le intemperie potranno mai cancellare.
Vorrei riportare alcune frasi, preghiere e pensieri di San Giuseppe Moscati per meglio avvicinare e conoscere la sua figura :
- Ama la verità, mostrati quale sei; senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, tu accettala; se il tormento, tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, tu sii forte nel sacrificio.
- La vita è un attimo, onori, trionfi, ricchezza e scienza cadano, innanzi alla realizzazione del grido della Genesi, del grido scagliato da Dio contro l’uomo colpevole: tu morrai! Ma la vita non finisce con la morte, continua in un mondo migliore. A tutti è stato promesso, dopo la redenzione del mondo, il giorno che ci ricongiungerà ai nostri cari estinti, e che ci riporterà al supremo Amore .
- Lasciamo fare a Dio! e vedrete che chi non abbandona Dio, avrà sempre una guida nella vita, sicura e dritta: Non prevarranno deviazioni, tentazioni, passioni a smuovere colui che del lavoro e della scienza e, del timore del Signore ha fatto il suo ideale.
- Quali che siano gli eventi, ricordatevi di due cose: Dio non abbandona nessuno. Quanto vi sentirete solo, trascurato, vilipeso, incompreso, e quando vi sentirete presso a soccombere sotto il peso di una grave ingiustizia, avrete la sensazione di un’infinita forza arcana , che vi sorregge, che vi rende capaci di propositi buoni e virili , dalla cui possanza vi meraviglierete, quando tornerete sereno. E questa forza è Dio! Di un’altra cosa dovete ricordarvi, ed è non bisogna accasciarsi, ma mettere in pratica una delle quattro virtù cardinali, la fortezza. Accasciarsi significa giustificare le ragioni, che gli altri accampano per imporci un orientamento piuttosto che un altro.
- Valorizzate la vita! non dissipate il tempo in recriminazioni di felicità perdute, in elucubrazioni: Servite Domino in letizia. Di ogni minuto vi sarà domandato conto! “ Come l’hai speso?”. E voi risponderete: “ Plorando” (Piangendo/Gemendo). Vi si opporrà: “ Dovevi trascorrerlo implorando”, con le buone opere, vivendo te stesso e il demone malinconia”. E dunque! Su al lavoro!
- Non dimentichiamo di fare ogni giorno, anzi ogni momento, offerta delle nostre azioni a Dio, compiendo tutto per suo amore.
- Ricordati che vivere è missione, è dovere, è dolore! Ognuno di noi deve avere il suo posto di combattimento.
- Ricordatevi che non solo del corpo vi dovete occupare, ma delle anime gementi, che ricorrono a voi. Quanti dolori voi lenirete più facilmente con il consiglio, e scendendo allo spirito, anziché con le fredde prescrizioni da inviare al farmacista! Siete il gaudio, perché molta sarà la vostra mercede, ma dovrete dare esempio a chi vi circonda della vostra elevazione a Dio.
- Coltivando nel cuore rancori, si finisce per trascurare la missione che nostro signore Gesù ci ha chiamati, l’amore per gli infermi e per tutti coloro che sono nel bisogno.
In tutte le vostre opere, mirate al cielo, e all’eternità della vita e dell’anima, e vi orienterete allora molto diversamente da come vi suggerirebbero pure considerazioni umane, e la vostra attività sarà ispirata al bene.
Carmelo Addia.