Antologia di pensieri e ricordi in prosa
Questa rubrica raccoglie gli scritti di prosa ricordi o racconti dei soci-alunni dell'Unitre.
15 Maggio 2011
15 Maggio 2011
Intorno ai primi anni ’50, avevo circa 10 anni. Era da poco finita al guerra e le condizioni economiche erano tragiche per quasi tutte le famiglie.
Mio padre, era riuscito ad ottenere un modesto, ma sicuro posto di lavoro come cantoniere provinciale. Aveva l’incarico di sorvegliare e mantenere in ordine il tratto di strada che va, dall’attuale distributore ESSO, fino all’attuale nuova struttura “CITTA’ DELLA NOTTE”. Inoltre aveva la possibilità di abitare con la famiglia nella casa cantoniera situata proprio di fronte all’attuale Ristorante-Pizzeria “L’Antico Palmento”.
Mio padre, decise che non era il caso di andare ad abitare nella casetta cantoniera per la mancanza di qualsiasi comodità. Mancava infatti l’acqua, la corrente elettrica e i servizi igienici.
Quando finiva la scuola, io e mia sorella tormentavamo nostro papà perché ci portasse ad abitare in quella casetta per trascorrervi un periodo di “villeggiatura”. Ci accontentavamo di poco. La sera per consumare la modesta cena, la mamma accendeva il lume a petrolio. Noi ci sentivamo protetti e felici anche se non avevamo niente, mentre dalla buia campagna circostante si sentiva provenire il sinistro canto del gufo.
Di fronte alla casetta, c’era la grande masseria del Cavaliere Tiralongo, facoltoso proprietario terriero, che aveva affidato la conduzione della masseria a due “poveri cristi” che lavoravano dalla mattina alla sera e per pranzo e cena mangiavano solo un piatto di fave.
Tra la mia famiglia e i due “massari” si era instaurata una buona amicizia, mentre il Cavaliere non si faceva mai vedere.
La fattoria produceva olio, vino, ma soprattutto pregiatissime mandorle. C’era anche un discreto allevamento di mucche e quindi una buona produzione di latte di cui io andavo ghiotto e che non mi facevano mai mancare. Mia mamma, per sdebitarsi del latte che mi davano, quando ad un pranzo benedetto si mangiava pasta al sugo di carne, e per noi era festa grande, me ne dava due piatti da portare ai due “massari”.
Durante il giorno avevo l’incarico di approvvigionare l’acqua, che prendevo da un pozzo situato nella masseria al centro del “baggio”, un grande spazio delimitato da grossi muri, all’interno del quale le mucche sostavano insieme a cani, galline e due asinelli con i quali avevo fatto amicizia. Io non avevo paura di andare a prendere l’acqua e trovarmi in mezzo a quegli animali; accarezzavo i cani e gli asinelli, poi prendevo il secchio con l’acqua e lo portavo a mia madre.
Un giorno mentre tiravo l’acqua dal pozzo decisi di fare una cavalcata su uno degli asinelli. Raccolta l’acqua, misi da parte il secchio e dolcemente gli montai in groppo. L’asinello non si oppose, cominciò a camminare, ma all’improvviso si mise a correre come un matto quasi per farmi cadere. Mi aggrappai alla sua criniera con tutte le mie forze, e mentre esso continuava a correre, io resistevo, e quando vidi che l’asinello si dirigeva a velocità verso lo spigolo di un muro, capii che mi sarei fatto male per cui decisi di buttarmi giù.
Caddi a pancia in giù e con la faccia a terra, ma non mi feci male perché c’erano 10 e più cm. di escrementi che ricoprivano il terreno.
Ero pieno di “cacca” dalla testa ai piedi ma senza un graffio e con il timore che al ritorno a casa, mio padre molto rigido, mi riempisse di botte. Così, cercando di ripulirmi mi attardai più del solito fino a quando vidi mio padre, che insospettito per il ritardo, entrò nel baggio.
Timoroso e tremante gli raccontai il fatto, e lui vedendomi ricoperto dalla testa ai piedi da quella cosa verde e puzzolente si mise a ridere e mi disse che dovevo sempre guardarmi dagli animali, e soprattutto che non dovevo mai fidarmi degli asini perché “U sceccu è animale ca nun canusci padruni”. Quella fu la mia prima e ultima cavalcata.
Pippo Paci