Antologia di pensieri e ricordi in prosa
Questa rubrica raccoglie gli scritti di prosa ricordi o racconti dei soci-alunni dell'Unitre.
25 Gennaio 2012
Conversare con un amico, intellettualmente lucido, in fin di vita in un letto di ospedale, è una esperienza che mi tocca in profondità, che mi fa stare male moralmente, mi fa riflettere, mi suscita domande.
Sono andato a trovare Giuseppe, non vedente, la prima sera del suo rientro dall’ospedale di Catania.
Lo osservo.
Visibilmente scavato dalla sofferenza di circa sette mesi di tenace lotta contro l’improvvisa leucemia.
Lo vedo calmo e sereno, sebbene sofferente.
Percepisce subito la mia presenza non appena entro nella sua stanzetta dell’ospedale di Augusta, dopo l’ultima sua degenza (terzo ciclo di chemioterapia), di ben ottanta giorni circa, al Ferrarotto di Catania.
Gli accarezzo una mano.
Gli sfioro la fronte con una mia mano.
Con debolissima voce incomincio a dire qualche parola.
Mi identifica subito. Mi chiama per nome. Mi accenna un sorriso di compiacimento.
Mi si stringe il cuore alla sua dichiarata arresa e coscienza di essere ormai alla fine.
Non trovo parole.
Un nodo mi attanaglia la gola. Con un gesto invito un giovane cugino napoletano, che in quel momento l’assiste, a lasciarci soli.
Mi abbasso quasi vicino ad un suo orecchio.
Le lacrime grondano sui miei occhiali e, tra un singhiozzo e l’altro, gli scandisco con l’affetto del cuore e la certezza della fede, le parole che, nella sopraggiunta serenità, un mio amico e suo conoscente, ormai alla fine per un devastante tumore, aveva dettato alla moglie perché li scrivesse quale suo ricordo:
“l’anima mia, ormai libera dai lacci del tempo e dello spazio, canti in eterno la gloria del Signore!”
Giuseppe assentisce chiaramente. Il suo volto si illumina. Mi fa percepire il suo affetto con una debole stretta di mano.
Il mio cervello ha un guizzo di ulteriore lucidità.
Intuisco che sia opportuno dare all’amico, una ulteriore piccola o grande gioia.
Gli voglio esprimere l’affettuosa vicinanza di tutti i compagni di classe e amici dell’Unitre, alla quale tanto ha dato.
Gli scandisco, con voce commossa, che sarà sempre nei nostri cuori, che lo ricorderemo sempre; che lo sentiremo suonare e cantare con il nostro Coro.
Esso, nato con lui e da lui, con comunicante entusiasmo, ben diretto quale maestro musicale, da subito, porterà il suo nome; sarà chiamato:
Corale Unitre Augusta “Giuseppe Bellistrì”
Visibilmente mi trasmette il suo compiacimento, la sua gioia e quasi la certezza di un ricambio di affettuosità, di vicinanza, di gratitudine verso tutti i soci, amici e compagni di scuola e della corale, in particolare.
Le lacrime ormai hanno offuscato totalmente la mia vista; ma mi sento più sereno, meno turbato, intuendo la sua cosciente fine quasi gioiosa per un nuovo cammino di pace e serenità, essendo vissuto donandosi agli altri e facendo del bene al prossimo.
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