16 Dicembre 2017
Nell'incontro del 7/12/2017 il Presidente Dott. G. Caramagno riprende il tema: "Semi di Umanità: Amare, Donare, Servire". Ribadisce che i valori fondanti dell'Associazione (Cultura, Umanità, Solidarietà) mirano a potenziare il benessere spirituale dei Soci, insidiato dalla "materialità" della società dei consumi.
Esorta, quindi, l'uditorio a "passare da fruitori a donatori di tempo", come prevede lo Statuto. Con malcelato rammarico, egli ricorda che una precedente proposta "non ha messo radici".
Il tema, delicato e complesso, trarrebbe vantaggio da uno scambio di opinioni in aula. Cessato un soffuso brusio, la maggioranza rimane silenziosa.
Sicuramente molti già si "spendono" in famiglia, nel vicinato, tra gruppi parentali e amicali, con discrezione come è giusto che sia.
Pian piano arrivano testimonianze di Soci che collaborano con associazioni (Misericordia, Buon Samaritano, Parrocchia, Ospedale, ecc).
E' comprensibile l'imbarazzo ad esporsi, ma qui non c'è ricerca di visibilità, bensì di esempi per incoraggiare i timidi, creare emulazione, fornire informazioni.
Qualcuno osserva che spesso la "beneficenza" si ammanta di ipocrisia.
Concordo che in una società ossessionata dall'immagine, si è diffuso "il dono di facciata", l'impegno "politically correct" cui si è indirizzati da circostanze appositamente create ed ineludibili. Sono le collette telefoniche, le feste esclusive con raccolta fondi e fotografi al seguito, vendite di piante, frutta, uova di cioccolato nelle piazze, collette alimentari, regali solidali, ecc.
I meccanismi che inducono questa "beneficenza" sono molteplici: forse soddisfano il bisogno di autoprotezione dal dolore, la ricerca di facili gratificazioni, di visibilità sociale o nascondono inadeguatezza all'impegno frontale.
Forniscono denaro o beni che si spera vadano a buon fine permettendo ai "donatori" di non "sporcare mani e cuore" nel contatto diretto con la "miseria materiale e spirituale".
Per altro il "contagio" diretto spesso è ostacolato da "chi soffre" che tende a ritrarsi, a mascherarsi per pudore, dignità o timore di ripulsa.
I Soci Unitre dovrebbero essere consapevoli che "donare" parte del loro prezioso tempo "a chi ne ha bisogno" non solo esprime il grado di civiltà e solidarietà raggiunto, ma "li arricchisce facendone figure di riferimento" per figli, nipoti e prossimo. Chi invece resta invischiato nel "quotidiano" soffoca le sue esigenze spirituali, si chiude agli altri, alla natura, alla fede (se credente).
L'anima "malata" lo rende anaffettivo, isolato, depresso. Senza speranza, incontrando il dolore sarà disarmato.
La cronaca registra che "la violenza" contro se stessi, gli altri e l'ambiente sta aumentando in modo esponenziale.
Per molti anziani, ancora lucidi, la prospettiva di lunga vita può diventare un tormento. Senza un ruolo familiare e sociale, spesso "costretti" in Casa di Riposo, mancano di "giardinieri dell'anima".
"Scontano" giornate vuote, "animate" solo dall'assunzione dei farmaci e dei pasti, da visite rare, tra un assopimento e l'altro di fronte alla TV.
Il decadimento psichico ne accelera quello fisico. Con essi si perde un patrimonio di sensibilità ed esperienza.
Nel Ventennale il Presidente rilancia il Progetto "Case di Riposo". Va strutturato, ma è valido ed opportuno.
Chi sente di aderirvi deve rimuovere pregiudizi, armarsi di umiltà e pazienza, accettare iniziali diffidenze e insuccessi.
Sorriso ed empatia l'aiuteranno ad intercettare lo sguardo sfuggente di chi soffre, aprendo un accesso al cuore. Decodificando gesti, in assenza iniziale di dialogo, si abbatteranno le barriere. Impegno ed entusiasmo Unitrino consolideranno i risultati. Verrà il tempo del dialogo attento e fruttuoso ma più importante è sapere ascoltare. Non bisogna attendersi gratificazioni, che pure verranno.
Auguro al progetto il successo che merita, disponendomi a condividerlo.
Maria Farina