15 Gennaio 2014
Giovedì 12 dic. 2013 dalle ore 17,30 alle 19,00, alla presenza di circa 200 soci e con la partecipazione di circa 100 studenti delle scuole medie superiori della città, si è svolto il primo dei programmati incontri a tavola rotonda dell’anno accademico 2013/2014:
Il tema dell'incontro è stato: “Il dialogo e la capacità di ascolto dell’altro come tempo da donare e occasione di crescita personale”
- Dialogo e ascolto di se stessi e degli altri rel. Adriana Pricone – Pres. “Nuova Acropoli”
- Dialogo e ascolto tra coetanei e in famiglia rel. Emanuele Noè e Silvia Mattei stud. univ.
- Moderatore: Dr. Francesco Cannavà - psicologo
I contenuti dell’incontro sono stati molto apprezzati, come è apparso dai successivi interventi alle relazioni.
Ne pubblichiamo di seguito la sintesi, a cura del moderatore, Dr. Francesco Cannavà.
Pubblichiamo altresì quanto, in modo sintetico, ci ha fatto pervenire del suo brillante intervento, il giovane relatore Emanuele Noè.
La redazione
IL DIALOGO E LA CAPACITA’ DI ASCOLTO DELL’ALTRO COME TEMPO DA DONARE E OCCASIONE DI CRESCITA PERSONALE
Buona parte dell’evoluzione umana si deve alla comunicazione, dal latino “communicare” cioè mettere in comune. È la base dello scambio tra persone, di nozioni, pensieri, esperienze.
Paul Watzlawick dimostrò che non è possibile non comunicare perché anche senza la parola il corpo comunica comunque, al di là spesso della stessa consapevolezza dell’individuo.
La più alta espressione della comunicazione è il dialogo.
La professoressa Apricene ha sottolineato come nell’era della comunicazione iperveloce, cresce paradossalmente l’incomunicabilità.
È compito di tutti recuperare il valore della parola, perché ha la capacità di comunicare le immagine, i significati e da identità quando si fa Nome di un individuo.
La parola è pensiero, logos, ed è potere, dato che dare un nome alle cose equivale ad esercitare un dominio su ciò che si definisce.
Oggi assistiamo ad un impoverimento del linguaggio a seguito di un eccesso di generalizzazione. La parola “amicizia” ad esempio, si rifà al concetto di amico, persona vicina, intima, confidente… ma su Facebook se ne possono avere a centinaia, degradando l’amico a mero conoscente.
Alla base del dialogo c’è l’attenzione, il valore ed il rispetto della parola e del significato che vi è insito.
Se la parola è pensiero, la ricchezza linguistica rappresenta una maggiore potenzialità per affrontare la vita perché consente la rappresentazione di una realtà a distanze infinite nello spazio e nel tempo e riduce l’aggressività tra gli uomini dando livelli superiori di risoluzione dei problemi.
Dia-logare vuol dire parlare ma soprattutto pensare in due, insieme. Costruire un ponte che congiunge solo se entrambi gli interlocutori lo vogliono. Ciò si determina solamente se chi dialoga è anche disposto all’ascolto. L’orgoglio inibisce l’ascolto e interrompe lo scambio.
È bene avere un rapporto non solo con gli altri, ma anche con sé stessi. Dialogare con sé stessi vuol dire anche sapersi ascoltare. Unire le due componenti dell’individuo: il centro e la maschera, il pensiero e l’anima.
Emanuele Noé, mette in risalto l’aspetto del dialogo nella famiglia, che è l’unità costitutiva della società.
Bisogna studiare la dinamica interna della famiglia ed il processo educativo che sul dialogo trova fondamento per la trasmissione dei valori, delle regole e delle esperienze allo scopo di tirare fuori il potenziale del bambino piuttosto che imprimere unidirezionalmente nozioni su una matrice considerata neutra.
Ruoli genitoriale fragili e intimoriti dai figli non possono ergersi ad esempio e quindi a guida dei figli, che nei momenti di difficoltà, più che la decantata confidenza del genitore amico necessitano di una guida che dialoghi con loro con adeguata predisposizione all’ascolto che consenta all’adulto di entrare nell’universo emotivo e di pensiero nella nuova generazione. La crisi coniugale nega ai figli l’apprendimento della disposizione all’ascolto, senza il quale il dialogo si riduce a sterile verbalizzazione.
Silvia Mattei, approfondisce la complessità del dialogo che si compone di elementi verbali e non verbali, notando che i bambini sono capaci di comunicare i bisogni di base prima ancora di apprendere il linguaggio verbale. Questo avviene perchè nella comunicazione spesso occorre saper interpretare oltre che ascoltare. Stabilire un contatto. Perché il dialogo è uno scambio complesso che comprende tutte le manifestazioni fisiche che accompagnano il verbo, mettendo in relazione i due universi personali degli interlocutori. Talvolta elementi esterni condizionano la comunicazione riducendo la capacità di ascolto o captando l’attenzione, come accade quando una televisione accesa si intromette nel dialogo che spesso accompagna il pasto in famiglia, ormai raro momento di scambio tra i componenti nel moderno nucleo familiare.
Francesco Cannavà
“Il dialogo e la capacità di ascolto dell’altro come tempo da donare e occasione di crescita personale. Il dialogo tra coetanei ed in famiglia.”
Sicuramente affrontiamo un tema molto diffuso e di notevole importanza dato che la famiglia è l’istituzione di base della società. E’ all’interno della famiglia che il giovane entra a contatto con gli usi e costumi della società in cui vive e li riceve attraverso il processo educativo.
Fino a pochi anni fa il processo educativo era molto rigido. Infatti definiva il bambino come una lavagna bianca, una tabula rasa dove si doveva insegnare, mettere un segno. La nuova e più accetta proposta pedagogica invece si ispira ad un giovane che già possiede tutte le qualità necessarie ad affrontare una vita piena e mediante il processo educativo fargliele sperimentare, scoprire. Somiglia alla maieutica Socratica ovvero l’arte di tirare fuori. Ed ecco che prende il nome di Educazione, E-ducere, tirare fuori. E’ fuor di dubbio che è necessario preferire la seconda scelta.
Ma è proprio durante questo processo educativo, comunicativo, che iniziano i problemi interpersonali tra genitore e figlio.
1° Problema: I genitori hanno il forte timore di perdere l’affetto dei propri figli e tendono a sedurli piuttosto che educarli così da perdere il ruolo di autorità. Si creano così due figure distinte. Il genitore- educatore che ascolta il figlio e cerca di condurlo, educandolo alla costruzione del proprio carattere proprio attraverso le, così variegate, circostanze della vita anche attraverso rimproveri e serietà.
Ed il genitore-amico che ascolta il figlio, magari piangendo pure insieme lui, ma che alla fine non riesce a trasmettere l’insegnamento per paura di perderne l’affetto. Indubbiamente è necessario scegliere il primo modus operandi in quanto il genitore amico perde di efficacia nel trasmettere gli insegnamenti.
Educare è di gran lunga più sano per il figlio che disperarsi insieme a lui. Anche perché, a lungo andare, il figlio non riconoscerà più l’autorità del genitore e lo tratterà esattamente come un amico e di questo sono certo c’è ne accorgiamo ormai sempre più spesso. Il giovane ha bisogno di punti di riferimento stabili per superare le difficoltà della vita. Lì cercherà nella società se non li troverà in famiglia con la differenza che all’interno delle nostre città ormai è molto raro trovare persone che amano, davvero, il prossimo.
Ormai il tema della comunicazione familiare è un emergenza educativa e culturale. La presenza e la qualità della comunicazione educativa dovrebbe essere alla base di ogni famiglia.
La chiave del successo è conoscere bene l’arte della conversazione, dove l’uomo si riconosce nell’altro e così facendo riconosce se stesso. Per mezzo del con-versus ovvero andare con il mezzo verbale incontro al proprio simile e tornare arricchito dell’esperienza altrui. Questo deve accadere in famiglia, in modo che ogni membro possa acquistare l’esperienza acquisita dagli altri membri.
Affinché questo accada tra genitori e figli ci dovrà essere un atteggiamento di ascolto profondo, di rispetto, di generosità reciproca. La manifestazione nell’essere capace di ascoltare cela il significato nascosto di accettare la diversità. “Il sano dialogo nel sapere parlare è simile alla convivenza nel saper vivere “(Filosofia per vivere, Delia Steimberg Guzman, direttrice dell’Organizzazione Internazionale Nuova Acropoli).
Per conversare bisogna soprattutto saper ascoltare, questo è anche il motivo che diede il significato al proverbio “Abbiamo due orecchie e una sola bocca.”
Dobbiamo imparare ad ascoltare, a riconoscere il valore delle idee altrui ,che arricchiranno, se glielo permetteremo il valore delle nostre idee.
Avere una sana comunicazione familiare sentirsi ascoltati, guidati ed educati permette al giovane di costruire il suo carattere. Chi ha vissuto nell’adolescenza questa positività, nel futuro avrà maggiore capacità di portare avanti la propria idea con rispetto verso gli altri, sarà più capace di superare le difficoltà e quindi creare relazioni sociali utili e sane.
Oggi purtroppo sono proprio i giovani che stanno vivendo sempre di più questa terribile crisi di cultura, di valori, di punti di riferimento. Dobbiamo migliorare noi stessi per migliorare il posto in cui viviamo citava una grande uomo” Sii il cambiamento che vuoi vedere nel Mondo”
Ed ecco il messaggio che vi voglio lanciare. Per fare tutto quello di cui abbiamo parlato, per migliorare il nostro modo di comunicare, all’interno della famiglia, tra coetanei, serve iniziare a guardare con più criticità il nostro comportamento, distraendosi dal comportamento dell’altro.
Cito due Insegnamenti atemporali che ha donato all’Umanità un filosofo a me caro, Socrate.
- “Conosci te stesso” per guardare con più criticità il nostro comportamento.
- “Io so di non sapere” per non precluderci mai la possibilità di imparare, ancora, dagli altri.
Emanuele Noè Illuminato.